Il fiorino ungherese e le altre valute che appartengono ai mercati emergenti sono state protagoniste del rallentamento monetario di ieri: in particolare, è stata soprattutto la paura che l’Italia sia la prossima vittima della crisi del debito dell’eurozona a farla da padrona, ma anche le pessime performance dei listini americani hanno influito in maniera negativa. C’è da aggiungere, poi, che queste divise “emergenti” hanno sofferto in modo piuttosto significativo nelle ultime settimane, dato che gli investitori internazionali hanno preferito andare oltre le posizioni più rischiose, con un contesto complessivo di incertezza che viene dominato dal futuro sempre più oscuro per quel che concerne i governi di Roma e Atene.
Nel dettaglio, lo stesso fiorino è sceso fino ai suoi livelli più bassi nei confronti dell’euro addirittura da oltre due anni: era infatti dal mese di marzo del 2009 che non si registravano simili valori, mentre il confronto col dollaro non era così impietoso da luglio del 2010. Come hanno messo in luce i dati statistici più accreditati, la moneta unica europea è stata scambiata a 311,65 fiorini. Tra l’altro, si tratta di un vero e proprio circolo vizioso, dato che l’indebolimento dell’euro nei confronti della moneta verde è stato un altro dei motivi per questo pessimo andamento. Gli investitori hanno mantenuto la loro distanza dalla moneta ungherese anche perché i livelli di debito in valuta estera e il debole outlook economico di Budapest sono ormai una realtà incontrovertibile.
Comunque, secondo alcuni analisti e trader, i bassi volumi di scambio all’interno dei mercati emergenti stanno esagerando i flussi in questione. Il resto delle divise non è andato molto meglio. Ad esempio, il peso messicano, il rand sudafricano e lo zloty polacco hanno subito tutti dei declini importanti in confronto al dollaro: la speranza è quella di cominciare a risalire la china già da oggi, altrimenti sarebbero vani tutti gli sforzi compiuti da queste economie in rampa di lancio.
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